
Antonio Moresco è un autore "di lungo corso", noto, commentato e discusso. Trovo emblematico che la candidatura allo Strega
(L'addio Ed. Giunti) l'abbia commentata definendosi "un autore uscito dal sepolcro"!
La sua carriera è stata in effetti preceduta da un lungo e faticoso "apprendistato"
( Lettere a nessuno). "L’essere stato rifiutato per anni è stato un dono, mi ha consentito immensa libertà" , dichiara in un'intervista a Repubblica; oggi i suoi libri vengono tradotti in molti paesi e la Sorbona gli ha dedicato un convegno.
Mantovano, nato nel 1947, della biografia colpiscono due elementi: gli studi medi in seminario e la militanza nella sinistra extra-parlamentare. Frequentò quindi un disastroso liceo e una scuola di recupero. Niente università, tanti mestieri, dieci anni di lotta politica; poi "si è fermato" e ha cominciato scrivere. Quasi un romanzo... L'elenco dei suoi lavori di narrativa, saggistica e teatro è lungo, lo trovate su Wiki (
https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Moresco).
Mi soffermo un attimo almeno su
Gli increati, un testo di oltre mille pagine. L'ho letto con interesse, tra fatica e fascinazione, ma cedo la parola a commentatori più titolati.
Antonio Gnoli scrive : [Mille pagine] a volte noiose. A volte folgoranti e strepitose. È difficile ricavarne una storia che abbia un senso, una direzione, un fine. Moresco è fastoso e lugubre, pietoso e crudele. Non c'è un io che racconti. Anche se al centro vi è sempre lui: lo scrittore con le sue idiosincrasie, le sue nevrosi, le sue allucinazioni. Gli increati è un romanzo carontico, traghetta, fra i vivi e i morti, la storia del mondo.
Massimiliano Parente sottolinea la "forzatura": Quella di Moresco è un'impresa ardua, titanica, totalmente a perdere e destinata a restare non compresa, vincente perché progettualmente sconfitta in partenza. Nessuno, come Moresco, riesce a coagulare visioni inverosimili, pazzesche, a forzarne i limiti narrativi per rappresentare qualcosa dell'umano che non si capisce bene cos'è ma che lui tenta di definire e sfondare e lacerare a ogni pagina, e ce ne sono di letterariamente meravigliose.
Per L'addio, che non ho ancora letto, trovo nel sito dell'editore questa presentazione abbastanza stimolante:
Un romanzo di combattimento attraversato da una cocente storia d’amore e da interrogativi vertiginosi, che è anche una meditazione estrema sulla presenza del male e del dolore nel mondo e sulla possibilità di salvezza. «Mi chiamo D’Arco e sono uno sbirro morto.» Comincia così questo travolgente romanzo, metafisico e d’azione. Il protagonista è un uomo pieno di dolore, delicatezza e furore, chiamato a compiere una missione impossibile.Gli viene affidata da un certo Ladzo, ricostruisco leggendo qua e là: deve capire perché si sentono voci di bambini che cantano muovendosi tra le due realtà della narrazione. La città dei vivi e quella dei morti sono vicine, comunicanti, e si assomigliano molto. La polizia dei vivi e la polizia dei morti sono in contatto e collaborano, quando devono risolvere i casi più difficili. Quando l’avrà capito, avrà anche inteso in cosa consiste il resto della missione.
Quanto alle recensioni, ne utilizzo due di segno opposto.
Marilù Tolo (Huffington Post) non ha apprezzato: Nell’interno di copertina si legge che “Moresco irrompe nel genere poliziesco per terremotarlo”. Ora, qui di genere poliziesco c’è ben poco. Viene messo in scena uno sbirro (la parola è ripetuta allo sfinimento e mi chiedo: non si poteva ricorrere ogni tanto a qualche banale sinonimo, tipo “poliziotto”?), ma mancano totalmente le indagini. Il romanzo poliziesco prevede degli snodi disposti su uno schema ben preciso (omicidio, ritrovamento, indizi, indagini, depistaggio, scioglimento) e rivoluzionare questo schema è molto arduo, ma non impossibile (ci sono riusciti in pochi, cito ad esempio Friedrich Dürrenmatt ne La promessa o Gabriel García Márquez in Cronaca di una morte annunciata). Ne L’addio di Moresco manca il momento della detection e la trama è semplicissima: il protagonista dal regno dei morti arriva nel regno dei vivi e un bambino, che lo ha accompagnato nella traversata, gli indica i malvagi che devono essere eliminati. Comincia così la kermesse dell’eccidio, seguendo un impianto narrativo molto elementare, dove fabula e intreccio sostanzialmente coincidono. Moresco non ha terremotato il poliziesco: non l’ha proprio contemplato.
A meno che con quel verbo si intende che (brutto! n.d.a.) in questo romanzo si trovano solo le macerie del poliziesco.
Giulia Ciarrapica sì:
Per descrivere il disagio del mondo contemporaneo Antonio Moresco sceglie la via dell’immortalità, impregnando il romanzo di immagini ancestrali, quasi mitiche, che rievocano con forza il mondo della classicità greco-latina e il pensiero filosofico dei grandi intellettuali.
Allo stesso tempo affida se stesso, il suo Pensiero, alla Letteratura. “Io sono un cantore del Male” – dichiara l’autore – “gli do voce perché è giusto che sia così, perché non sono un censore e voglio semplicemente descrivere ciò che penso ci stia accadendo”.
La forza della Letteratura emerge chiara e forte nell’opera di Moresco, che crede profondamente nella potenza di uno strumento come il libro, àncora di salvataggio nel magma indistinto – e pericolante – della contemporaneità. L’addio cerca domande, non dà risposte.Linko il blog, la sua recensione, molto articolata, merita una lettura:
https://giuliaciarapica.wordpress.com/2 ... o-moresco/